Si è conclusa con una conferenza stampa nella sede della FNSI a Roma la missione di tre giorni in Italia della delegazione europea Media Freedom Rapid Response, progetto finanziato dalla Commissione Europea che si occupa del monitoraggio, ricerca, e supporto pratico al giornalismo dei paesi membri e candidati all'ingresso nell'Unione europea.
Nelle tre giornate i membri del gruppo hanno incontrato rappresentanti delle istituzioni come un giudice della Corte costituzionale, parlamentari, e i responsabili del Centro di coordinamento sul fenomeno degli atti intimidatori nei confronti dei giornalisti (organismo istituto presso il ministero dell’interno), ma soprattutto, ad Arzano, nei pressi di Napoli, alcuni giornalisti minacciati e sotto scorta. Nell'incontro c'è stato anche un collegamento con la vicepresidente del Commissione europea Věra Jourovà, che ha ribadito la volontà di approvare una normativa europea sulla libertà di stampa entro l‘estate, necessità sottolineata anche dal segretario della Federazione Nazionale della Stampa Raffaele Lorusso. “Ci auguriamo - ha detto - che questa situazione possa un giorno produrre una direttiva europea sulla libertà di stampa, direttiva che, al pari di tutte le altre, produca l'obbligo per tutti gli stati membri di approvare leggi di recepimento”.

La missione, organizzata in collaborazione con Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa, FNSI, Articolo 21 e Ordine dei Giornalisti, aveva un duplice scopo: da un lato raccogliere elementi sul sistema di protezione dei giornalisti minacciati o sottoposti a querele bavaglio, dall'altro fare il punto sulla legislazione italiana in tema di diffamazione.
Fra le maggiori criticità per la libertà di stampa in Italia sono state segnalate, accanto alle minacce da parte della criminalità organizzata e di gruppi estremisti, anche l’aumento della precarietà nel lavoro giornalistico, che rende i cronisti maggiormente esposti e ricattabili, e l’abuso delle cosiddette “querele bavaglio”, denunce contro i giornalisti, spesso con richieste d’indennizzi milionari, presentate con il solo scopo di fare pressione sui reporter e metterli a tacere.
Su questo punto i membri della delegazione hanno sottolineato come da parte dei rappresentanti istituzionali italiani e in particolare dei parlamentari, nonostante un riconoscimento di fondo sulla necessità di bloccare il fenomeno, ci sia una sorta d’inerzia nel prendere dei provvedimenti. Stessa cosa per le norme che ancora prevedono il carcere per il reato di diffamazione, che il Parlamento italiano non sembra interessato per ora a cambiare e che invece rappresenta un limite alla libertà di stampa.
Riserve sono state espresse anche sul metodo di nomina dei vertici del servizio pubblico in Italia, che sostanzialmente dipende dal Governo, e sul controllo da parte del Ministero dell’interno del Centro di coordinamento sul fenomeno degli atti intimidatori nei confronti dei giornalisti, organismo utile, che rivela una collaborazione fra giornalisti e forze dell’ordine, ma che dovrebbe essere indipendente.

Alessandro Martegani